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      I matematici, i quali si possono chiamare dimostratori per eccellenza, convincon sempre e non declaman mai. Col tempo il male cresce; le idee diventano sempre piú slegate tra loro; perdono ogni forza, ogni venustá. Tali sono i precetti cosí detti pittagorici. Cresce del pari la credulitá, e la morale, non traendo piú alcuna forza dalla ragione, tenta trarla dalla superstizione. Vedete questa superstizione incominciare in Plutarco, crescere in Iamblico ed in Porfirio, giugnere all'apice in san Gregorio magno, dopo il quale la barbarie è completa.
      Qual sorte potevano sperare tra tali vicende i libri de' pittagorici? La loro setta fu il bersaglio principale e forse unico di tutte le sedizioni che turbarono quella parte dell'Italia ov'essa nell'ultima sua etá dimorava. La storia ci parla di piú sollevazioni mosse contro di loro, ed in ognuna di esse i loro collegi furono incendiati, e probabilmente i libri loro dispersi e distrutti. Dione e Dionisio suscitarono in quelle regioni guerre piú che civili; tutto fu messo sottosopra. Ed in ognuno di noi è fresca ancor la memoria di quanta distruzione tali accidenti menan con loro. Dopo Dionisio, conquistaron quelle regioni i romani, ma i romani ancor barbari; talché quelle produzioni delle scienze e delle arti, che nelle etá posteriori incominciarono a rapire, allora distrussero. Per giudicare del guasto che dovettero fare in Taranto, Locri, Reggio e Crotone i romani, basta riflettere che, avendo, quasi mezzo secolo dopo, comandati da uno de' piú colti loro consoli, dall'amico di Panezio e di Terenzio, conquistata Cartagine, tutti i libri, che trovarono in quella non incolta cittá, donarono ai principotti dell'Affrica loro alleati, né per essi ritennero altro che le Istituzioni di agricoltura di Magone.


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





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