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      Finalmente tanto gli stoici quanto gli epicurei disprezzavano altissimamente ogni studio di matematica, senza la quale vi poteva esser filosofia, ma non mai pittagorica.
      Io dirò quello che sento sopra queste due sètte, divenute troppo celebri. Esse hanno influito egualmente a corrompere le scienze e la morale, e si ha torto accusando di questo male piú l'una che l'altra. Imperciocché non vi può esser morale privata ove non vi sia morale pubblica, la quale non consiste in altro che nella massima semplicita de' costumi, unita al massimo amor della patria; né vi è molta scienza ove non vi sia molto desiderio di sapere, unito a molta critica nell'esaminare e molta ritenutezza in decidere. Or l'epicureo corrompeva la morale, moltiplicando oltremodo i bisogni dell'uomo e separandolo dalla patria: la sua dottrina poteva formare talvolta un ottimo uomo, ma dava un pessimo cittadino; ed a questa dottrina lo stoico ne opponeva un'altra, la quale era l'estremo opposto, e diveniva inutile perché impraticabile. Nelle scienze ambedue affettavano di disprezzare tutto ciò che è fuori di noi; ma, siccome noi non siamo che una picciola parte dell'universo, e nove decimi della nostra vita dipendono da ciò che ne circonda, cosí la cognizione di noi non è in gran parte che la cognizione di quelle cose che sembran esser fuori di noi. Or queste cose ambedue osservavano come per incidente e per forza, ambedue con molta leggerezza di mente. Lo stoico, per i suoi princípi, dovea esser credulo; e l'epicureo, per mancanza di giusto criterio di vero, poteva dire allo stoico: - Non so se ciò che tu affermi sia vero; - ma non mai: - Ciò che tu affermi è falso.


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772