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      Ma, siccome da costoro non abbiamo che una picciolissima parte delle notizie, cosí è necessitá ricorrere anche agli scrittori posteriori. Noi non li ascolteremo in tutto, né in tutto li disprezzeremo. Non esamineremo ad uno ad uno la fede che merita ciascuno di essi. Questo esame non sarebbe né possibile né utile, perché il risultato di questo esame sarebbe che tutti sono presso a poco egualmente ignoranti, egualmente intinti di spirito di setta, e di setta diversa dalla pittagorica, ed il maggior numero di essi non ha giá scritti libri positivamente didascalici sulla scienza. Noi dobbiamo metterli piuttosto nella classe de' retori che degli scrittori didascalici.
      Persuasi una volta di queste veritá, noi incominceremo ad eliminare dalla nostra storia tutto ciò che evidentemente deriva da questo spirito poetico e rettorico; né ascriveremo con ridicola gravitá tra i dogmi filosofici e tra' precetti governativi quelli motti che forse non sono stati che motti di spirito. Non ascriveremo, come fa Brukero, tra i dogmi di Teofrasto quello che l'anima risieda nelle sopracciglie. Non metteremo, come fa Diodoro siculo, tra le leggi di Caronda anche quella con la quale si dichiara infame un uomo il quale passi a seconde nozze. Non crederemo ciò che lo stesso Diodoro ci narra della corda al collo e della pena di morte contro chiunque proponesse una legge la quale non fosse poi approvata. Ma tutte queste ciarle ridurremo al loro giusto valore, e vedremo esser impossibile che un filosofo acutissimo qual era Teofrasto metta la sede dell'anima nelle ciglia.


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





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