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      Alla prima setta dovettero appartenere tutt'i poeti, perché proprietá eterna della poesia è quella di proceder sempre per particolari, personificar le idee, ed in conseguenza confonder le qualitá colle sostanze, l'aggettivo col sostantivo. Il filosofo cammina per una strada opposta, e quanto piú si allontana da questa poetica confusione, tanto piú si può dire di aver progredito.
      Ora il linguaggio di Talete ben poco si allontana da quello di Esiodo e di Omero: prova infallibile che, ai suoi tempi, i greci non aveano ancora filosofia.
      In Grecia la lingua filosofica incominciò da Platone e forse dal suo maestro Cratilo. Difatti, a render perfetta questa lingua, della quale era tanto grande il bisogno, tendono evidentemente molte parti della platonica filosofia.
      1. Le ricerche etimologiche che egli, forse il primo, introdusse in Grecia con quel suo dialogo (Cratilo) che io reputo una delle principali chiavi della storia filosofica della Grecia. In quel dialogo confessa Platone molte etimologie di parole greche doversi trarre dai "barbari" (ricordiamoci che questa parola non indicava altro che "stranieri"): prova evidente che molte cose i greci aveano apprese dai medesimi. Io avea una volta tentato, dietro le orme di Platone, un saggio sulla storia dell'antichissima civiltá e sapienza de' greci dedotta dalle etimologie.
      2. Quello studio infinito che ha delle parole e quei tanti argomenti che fonda sulle parole medesime. Oggi a noi sembran puerili, perché non necessari; ci annoiano, perché superflui.


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





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