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      Imperciocché egli non si allontanava dall'uso della lingua volgare senza motivo. Le sue parole aveano una ragione intrinseca: prova ne sia che chi questa ragione conosceva, non trovava i discorsi di Platone oscuri. Non li trovava tali Aristotele, che ben conosceva le opere di Platone, né trascurava veruna occasione di censurarlo. Ne' secoli posteriori Platone divenne per alcuni oscuro, per altri mistico: ma perché? Perché, obliata la ragione intrinseca delle sue parole colla trascuraggine della filosofia, esse non si paragonarono piú alla filosofia di Platone ma alla lingua del popolo. Si conobbe la differenza, e non se ne seppe piú render ragione. La grammatica, che paragonava le parole ad altre parole, non bastava: la filosofia, che le avrebbe sola potute paragonare alle cose, non vi era piú. Ma dobbiam sempre ricordarci che Aristotele non trovava Platone oscuro.
      Io mi trattengo forse troppo a lungo su questo esame della lingua filosofica de' greci, perché lo credo importantissimo. Platone non avea fatto che mostrar l'imperfezione della lingua antica e la necessitá della nuova. Ma tre quarti delle opere sue sono dirette piú a confutar errori che a stabilir veritá. A tale scopo era diretta principalmente la sua dialettica. Egli voleva distruggere ed i metodi e le parole de' sofisti. Aristotele fu quello che insegnò i metodi e le parole de' filosofi. Estrema è la cura che egli ha della proprietá delle parole; quindi estremo l'amor della brevitá, qualitá che è l'effetto e la prova della perfezione della lingua; estrema la precisione de' raziocini, talché egli stesso diceva i suoi libri non esser intelligibili a coloro che non aveanlo udito(704), cioè che non aveano appresi da lui ed i principi della sua filosofia e l'abito di ragionare.


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





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