Quali le fonti di un antigiacobinismo cosí tenace? La risposta piú comune č che il Cuoco si riattaccasse alla tradizione politica paesana. E, certamente, come una compiuta critica del futuro giacobinismo si trova giá in tre famose degnitá vichiane(732); cosí odiatore pugnace dell'illuminismo pregiacobino fu l'abate Galiani(733), e antigiacobino irriducibile restň, anche durante la Repubblica napoletana, il Galanti(734). Ma d'altra parte, per citar due fatti soli, non č tutta pervasa d'illuminismo (e di conseguente antimachiavellismo) la bibbia dei rivoluzionari napoletani del 1799, ossia la Scienza della legislazione di Gaetano Filangieri? e il pensiero del Vico non divenne forse illuministico, oltre che sensistico, nelle interpetrazioni o, meglio, contaminazioni di Mario Pagano?(735). La veritá č che, a non far deflettere il Cuoco dalla migliore tradizione politica del paese (quella vichiana), concorsero da un lato (come giá nel Galiani) il suo tenersi sempre a contatto col Machiavelli; dall'altro, il suo vigile senso critico; il quale, nei tanti dibattiti politici del tempo, lo indusse ad audire, anche e sopra tutto, alteram partem. Al qual proposito riuscirebbe di molto interesse proseguire nei riguardi del Platone l'indagine, iniziata testé, sull'influsso innegabile che, sulla formazione del pensiero politico del Nostro, esercitaron le Considérations sur la France (1796) del reazionario e borbonico Giuseppe De Maistre(736).
5. Tesi dell'indipendenza italiana.
Ricorre in tutti gli scritti del Cuoco: dal Saggio storico (1799-1801) agli articoli inseriti negli ultimi numeri del Monitore delle Due Sicilie (aprile-maggio 1815). Nell'uno, infatti, l'autore confessa esplicitamente d'essersi cullato nella "dolce illusione" d'una repubblica napoletana, da fondare, non, come accadde, per opera delle armi francesi, ma dai medesimi napoletani, mediante quei "seggi" o "sedili" della cittá di Napoli, che il popolo credeva autoritá legittima e nazionale(737); negli altri, il Cuoco, che giá precedentemente (febbraio 1815) aveva vivamente consigliata e propugnata l'impresa di Gioacchino Murat per l'indipendenza della penisola(738), si sforzň nelle piú varie guise di renderla popolare(739). Codesta esigenza fondamentale della vita politica italiana del secolo decimonono non poteva mancar, quindi, nel Platone, ove fu allegorizzata come una lotta tra l'Italia e Roma, e piú particolarmente tra i sanniti e i romani: quelli, sfortunati ma eroici difensori dell'indipendenza della penisola; questi, popolo straniero, se non proprio all'Italia, per lo meno alla vera e propria storia italiana, e che, precisamente come nei tempi moderni i francesi, gli spagnuoli e gli austriaci, venne, con le sue guerre di conquista e col suo dominio tirannico e distruttore, a sfruttare e suggellare la decadenza dell'antichissima civiltá italica.
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