Indicare a quali fonti attingesse a codesto riguardo il Cuoco non è agevole; giacché, a siffatto bando dei romani dall'antica storia italiana, che doveva aver poi tanta fortuna nella posteriore storiografia italiana dell'Ottocento, nessuno, che si sappia, aveva pensato prima dell'autor del Platone. Qualche stimolo, senza dubbio, egli poté ricevere dalla lettura delle opere del Galanti, dalle diuturne conversazioni col medesimo Galanti e col vecchio marchese De Attellis, e dal fervore che ponevan costoro nel sostener quella che s'è detta tesi municipalista molisana. Ma, forse, a fargli assumer posizione risolutamente antagonistica contro la tradizione d'una Roma conquistatrice e imperialista bensí, ma al tempo stesso assorbitrice e datrice di civiltá, dové contribuire sopra tutto l'unilaterale e perciò erronea interpetrazione di due passi della seconda Scienza nuova(740). Nell'uno il Vico aveva detto che i romani conquistaron l'Italia e poi il mondo, perché avevano "ancor giovane l'eroismo", e cioè erano ancor barbari quando pei tanto piú civili popoli che li circondavano s'era giá iniziata un'epoca di decadenza; - nell'altro, che la storia tradizionale di Roma era il frutto dell'incrocio di due nazionalismi: del nazionalismo d'un popolo conquistatore (il romano), che, vergognoso ormai delle sue umilissime origini, volle renderle pompose e auguste; e del nazionalismo d'un popolo conquistato (il greco), che seppe trar vendetta dei suoi padroni, ellenizzando la loro storia alla stessa guisa che quella di tutti i "popoli gentileschi". E chi percorra i parecchi articoli del Corriere di Napoli e del Monitore delle Due Sicilie, nei quali il Cuoco parafrasa o commenta le idee fondamentali del Platone, s'imbatte in affermazioni come queste: che noi "ammiriamo Roma gigante e non la sappiamo bambina"; - che è "strano" che la lenta formazione dell'impero romano "sia attribuita alla sola Roma, mentre è opera di tutti gli italiani abitanti di qua dal Tevere"; - che i romani, "i quali avean distrutto finanche la fama di quei popoli che avean assoggettati alla loro potenza", ci han tramandata, dell'Italia antica, una storia che non è se non quella di Roma, "aggiunta la vanitá de' greci, i quali pare che avevano transatto coi loro padroni di servire a patto che permettessero loro di mentire"; - che "la storia d'Italia è stata oscurata da' romani e poi alterata da' greci", gli uni "facendo della storia italiana una storia di Roma", gli altri "della storia dell'universo una storia greca"; - che "la storia d'Italia, quale ordinariamente si ha, non solo non è la storia d'Italia ma non è la storia di nessun popolo, perché nessun popolo può avere quel corso di avvenimenti che a' romani de' primi secoli di Roma hanno attribuito i posteriori scrittori, intenti tutti ad adular la grandezza dell'imperio ed a rendere i principi della civiltá romana piú augusti"; - e via continuando(741). Dall'esagerare, della mirabile ricostruzione vichiana della storia di Roma, questo lato critico o negativo, e, ch'è piú, dal trascurarne affatto il lato positivo (ch'è tutto un inno alla saggezza politica dei romani e alla provvidenzialitá del loro corso storico), occorreva un passo assai breve per immaginar Roma quasi incarnazione del genio del male che combatte e vince il genio del bene (la restante Italia). E il Cuoco, forse, lo compí senz'avvedersene.
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