Ancora nel 1809, e proprio in un giornale ufficioso napoletano, egli, riecheggiando il Machiavelli e precorrendo la scuola neo-ghibellina(747), scriveva che "il papa, troppo debole per conquistar egli solo l'Italia, ma assai forte invece per impedir ciò agli altri, è stato evidentemente la causa della divisione di questa penisola, che da questo solo motivo deve ripetere tutte le sue gravi e conosciute sventure"(748).
II
Il discipulato del Cuoco presso Giuseppe Maria Galanti e fors'anche la sua familiaritá col marchese De Attellis risalgono agli anni tra il 1787 e il 1790(749). Una sua lettera del 1790(750) mostra inoltre come dello Stanley, del Brucker e di altri vecchi storici della filosofia, ampiamente sfruttati nel Platone, egli avesse giá quella precisa conoscenza, senza la quale non gli sarebbe nemmen venuto in mente di scriverlo. Sembra ancora che, circa quel medesimo tempo, per consiglio forse del suo maestro di matematica Nicola Fergola(751), prendesse a studiar le opere di Giambattista Vico, delle quali, a ogni modo, poco prima del 1799 aveva con un amico (forse Francesco Daniele) divisata una nuova edizione(752). Alla sua prima gioventú, altresí, è da attribuire un suo saggio (condotto indubbiamente sulle orme del De antiquissima italorum sapientia e oggi disperso) "sulla storia dell 'antichissima civiltá e sapienza de' greci dedotta dalle etimologie"(753). E finalmente non è improbabile che, ancor prima dell'esilio milanese (decembre 1800-agosto 1806), anzi della sua partenza da Napoli (aprile 1800), il Cuoco leggesse le opere che gli suggeriron l'immaginario ritrovamento d'un antico manoscritto greco e l'immaginario viaggio del giovane Cleobolo per l'Italia: i romanzi didascalici del Wieland, taluno dei quali gia tradotto in italiano o in francese(754), e sopra tutto il Voyage du jeune Anacharsis en Grèce dans le milieu du quatrième siècle avant l'ère vulgaire del Barthélemy (1788), di cui (segno evidente della sua rapida diffusione in Italia) fin dal 1791 cominciava ad apparire presso lo Zatta di Venezia una traduzione integra di Vincenzo Formaleoni, seguita a breve distanza da un compendio di monsignor Angelo Fabroni(755). Circostanze, che, combinate insieme, conducono a suppor del Platone lo stesso che del Saggio storico, e cioè che la materia dell'opera si venisse accumulando nella mente dell'autore fin dal primo suo soggiorno napoletano, salvo a prendere a poco a poco forma di libro, allorché il forzato ozio dei primi anni dell'esilio non lo indusse, scossa l'inerzia letteraria che fin allora l'aveva dominato, ad avvalersi delle sue belle qualitá di scrittore(756).
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