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      Ecco perché Ocilo, sebbene vivesse nel quinto secolo di Roma, parla di questo cangiamento come di un avvenimento di dieci secoli prima. È un letterato del decimoquinto secolo il quale parli della lingua del secolo di Augusto. Ocilo, per altro viveva in un secolo, nel quale la lingua nuova non erasi ancora ben formata, ma i vari popoli d'Italia ritenevano (come sempre avviene) qual piú qual meno della lingua antica. Gli etrusci ne ritenevan forse piú di tutti; forse que' che ne ritenevan meno erano i romani; ed ecco perché questi spedivano i loro figli da quelli per apprendere una lingua, la quale, siccome la latina ne' secoli di mezzo, era indispensabile pel sacerdozio, per la curia, pel fòro. Non è improbabile neanche che nell'Etruria vi fossero scuole o migliori o piú comode per ragione della vicinanza. Finalmente per tal modo si spiega come mai popoli, i quali parlavano, la stessa lingua, avessero spesso bisogno d'interpreti. L'unitá della lingua è effetto di molti secoli, di unitá di governo, o almeno di molto vicendevole commercio. Esistono carte scritte nel decimoterzo e decimoquarto secolo in lingua volgare in varie regioni d'Italia. Paragoniamole tra loro, e vediamo se ciò, ch'era scritto in un luogo, poteva intendersi in un altro. Sono tante lingue diverse; e, prima che sorgesse quella lingua italiana che il gran genio di Dante, con tanta esattezza di nome, chiamò "aulica", il commercio vicendevole de' vari popoli avea bisogno della lingua latina o di un interprete.
      (619) GUARNACCI, Origini italiche, vol.


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Platone in Italia
di Vincenzo Cuoco
Laterza Bari
1928 pagine 772

   





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