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      .. Non si perdano mai di vista questi fatti. La corte di Napoli non sapeva né che temere né che sperare: come si poteva pretendere che agisse saviamente?
      La corte di Napoli era la corte delle irresoluzioni, della viltá ed, in conseguenza, delle perfidie. La regina ed il re eran concordi solo nell'odiare i francesi; ma l'odio del re era indolente, quello della regina attivissimo: il primo si sarebbe contentato di tenerli lontani, la seconda volea vederli distrutti. Ne' momenti di pericolo, il re ascoltava i suoi timori e, piú de' timori, la sua indolenza; al primo favore di fortuna, al primo raggio di nuove e liete speranze, per cagione della stessa indolenza, abbandonava di nuovo gli affari alla regina.
      Acton fomentava nel re un'indolenza che accresceva l'imperio suo e della regina; e questa, per desiderio di comandare, non si avvedeva che Acton turbava tutte le cose e spingeva ad inevitabile rovina il re, il Regno e lei stessa. La regina era ambiziosa; ma l'ambizione è un vizio o una virtú, secondo le vie che sceglie, secondo il bene o il male che produce. Ella venne la prima volta da Germania col disegno d'invadere il trono, né si ristette finché, per mezzo degl'intrighi e dell'ascendente che una colta educazione le dava sull'animo del marito, non giunse a cangiar tutt'i rapporti interni ed esterni dello Stato.
      Il marchese Tanucci previde le funeste conseguenze del genio novatore della giovine regina, e volle opporvisi fin da quel momento in cui pretese di aver entrata e voto nel Consiglio di Stato.


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Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799
di Vincenzo Cuoco
pagine 270

   





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