Vanni, che era allor il direttor supremo di tali affari, non si curava piú di chi era giá in carcere; non pensava che a carcerarne degli altri: ardí dire che «almeno dovevano arrestarsene ventimila». Se il fratello, se il figlio, se il padre, se la moglie di qualche infelice ricorreva a costui per sollecitare la decisione della di lui sorte, un tal atto di umanitá si ascriveva a delitto. Se si ricorreva al re e che il re qualche volta ne chiedeva conto a Vanni, ciò anche era inutile, perché per Vanni rispondeva la regina, la quale credeva che Vanni operasse bene. Vanni diceva sempre che vi erano altre fila della congiura da scoprire, altri rei da arrestare; e la regina tutto approvava, perché temeva sempre altri rei ed altre congiure.
Vanni, il quale meglio di ogni altro sapeva con quali arti si era ordita un'inquisizione, diretta piú a fomentare i timori della regina che a calmarli, tremava ogni volta che gli si parlava di esame e di sentenza. Ei volea trovare il reo, e temea che si fosse ricercata la veritá(8).
Sembrerá a molti inverisimile tutto ciò che io narro di Vanni. E difatti il carattere morale di quell'uomo era singolare. Egli riuniva un'estrema ambizione ad una crudeltá estrema e, per colmo delle sciagure dell'umanitá, era un entusiasta. Ogni affare che gli si addossava era grandissimo; ma egli voleva sempre apparir piú grande di tutti gli affari. Uomini tali sono sempre funesti, perché, non potendo o non sapendo soddisfare l'ambizione loro con azioni veramente grandi, si sforzano di fare apparir tali tutte quelle che possono e che sanno fare, e le corrompono.
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