Acton, invece di estendere il nostro commercio, lo restrinse coi suoi errori diplomatici, col suo genio dispotico, colla sua mala fede, colla viltá con cui sposň gl'interessi degli stranieri in pregiudizio de' nostri. Acton non conosceva né la nazione né le cose. Voleva la marina, ed intanto non avevamo porti, senza de' quali non vi č marina: non seppe nemmeno riattare quei di Baia e di Brindisi, che la natura istessa avea formati, che un tempo erano stati celebri e che poteano divenirlo di nuovo con piccolissima spesa, se, invece di seguire il piano delle creature di Acton, si, fosse seguíto il piano dei romani, che era quello della natura.
La marina, come Acton l'avea immaginata, era un gigante coi piedi di creta. Era troppo piccola per farci del bene, troppo grande per farci del male: eccitava la rivalitá delle grandi potenze, senza darci la forza necessaria, non dico per vincere, ma almeno per poter resistere. Senza marina, saremmo rimasti in una pace profonda: con una marina grande, avremmo potuto vincere; ma, con una marina piccola, dovevamo, o presto o tardi, siccome poi č avvenuto, esser trascinati nel vortice delle grandi potenze, soffrendo tutt'i mali della guerra, senza poter mai sperare i vantaggi della vittoria.
Lo stesso piano Acton seguí nella riforma delle truppe di terra. Carlo terzo ne avea fissato il numero a circa trentamila uomini; ma, come sempre suole avvenire nei piccoli Stati, i quali godono lunghissima pace, gli ordini di guerra si erano rilasciati, e di truppe effettive non esistevano piú di quindicimila uomini.
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