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      Ne' secoli di mezzo, chiunque fu padrone della Sicilia turbò a suo talento l'Italia. Dalla Sicilia Belisario distrusse il regno de' goti; dalla Sicilia i saraceni la infestarono per tre secoli, finché i normanni la riunirono di nuovo al regno di Napoli, al quale rimase unita fino all'epoca di Carlo primo d'Angiò. E chi potrebbe negare che quella separazione non abbia influito a ritardare nel regno di Napoli il progresso di quella civiltá, la quale, prima che in ogni regione d'Italia, vi avevan destata il gran Federico di Svevia e la sventurata sua progenie? I due regni furon riuniti sotto la lunga dominazione della casa Austriaca di Spagna. In que' tempi appunto Napoli incominciò ad ingrandirsi, ed è divenuta una capitale immensa, la quale per sussistere ha bisogno del formento e piú dell'olio delle province lontane che bagna l'Adriatico, ed il commercio delle quali non si può comodamente esercitare, né la capitale potrebbe comodamente sussistere, senza il libero passaggio per lo stretto di Messina. E si aggiunga che di quello stretto il vero padrone è colui che possiede la Sicilia, poiché egli vi tiene in Messina ampio e comodo porto, mentre dalla parte delle Calabrie non vi sono che picciole e mal sicure rade.
      Avea il re nel Regno stesso non pochi partigiani, i quali amavano l'antico governo in preferenza del nuovo; ed in qual rivoluzione non si trovano tali uomini? Vi erano molte popolazioni in aperta controrivoluzione, perché non ancora avean deposte quelle armi che avean prese, invitate e spinte da' proclami del re; altre pronte a prendere, tostoché, rinvenute una volta dallo stupore che loro ispirava una conquista sí rapida ed accorte della debolezza della forza francese, avessero ritrovato un intrigante per capo ed un'ingiustizia, anche apparente, del nuovo governo per pretesto di una sollevazione.


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Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799
di Vincenzo Cuoco
pagine 270

   





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