Quivi il suo nome gli diede qualche seguace: a questi si aggiunsero tutti quelli che si trovavan condannati nelle isole della Sicilia, ai quali fu promesso il perdono; tutt'i scellerati banditi, fuorusciti delle Calabrie, ai quali fu promessa l'impunitá. A Ruffo si unirono il preside della provincia, Winspeare, e l'uditore Fiore. L'impunitá, la rapina, il saccheggio, le promesse facili, il fanatismo superstizioso(58); tutto concorse ad accrescergli seguaci. Incominciò con picciole operazioni, piú per tentare gli animi e le cose che per invadere. Ma, vinte una volta le forze repubblicane perché divise e mal dirette, superata Monteleone, attaccò e prese Catanzaro, capitale della Calabria ulteriore, e, passando quindi alla citeriore, attaccò e prese Cosenza, sede di antico ed ardente repubblicanismo. Cosenza cadde vittima degli errori del governo, perché disgustò il basso popolo coll'ordine di doversi pagare anche gli arretrati delle imposizioni dovute al re, perché vi costituí comandante della guardia nazionale il tenente De Chiara, profondo scellerato ed attaccato all'antico governo. Quando Ruffo era giá vicino a Cosenza, De Chiara era alla testa di sette in ottomila patrioti, risoluti di vincere o di morire. Ruffo aveva appena diecimila uomini. Quando queste truppe furono a vista, De Chiara ordinò la ritirata; intanto ad un segno concertato scoppiò la sollevazione dentro Cosenza: cosicché i repubblicani si trovarono tra due fuochi; ma, ciò non ostante, riguadagnano la cittá e si difendono tre giorni.
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