Egli vide dal suo legno i massacri e i saccheggi della capitale. Poco di poi con suo rescritto avvisň i magistrati che egli avea perdonato ai lazzaroni il saccheggio del proprio palazzo, e sperava che gli altri suoi sudditi, dietro il di lui esempio, perdonassero egualmente i danni che avean sofferti! Tutti gl'infelici che il popolo arrestava eran condotti e presentati a lui, tutti pesti, intrisi di polvere e di sangue, spirando quasi l'ultimo respiro. Non s'intese mai da lui una sola parola di pietá. Era quello il tempo, il luogo ed il modo in cui un re dovea mostrarsi al popolo suo? Egli era in mezzo ai legni pieni d'infelici arrestati, che morivano sotto i suoi occhi per la strettezza del sito, per la mancanza di cibi e dell'acqua, per gl'insetti, sotto la piú ardente canicola, nell'ardente clima di Napoli. Egli avea degl'infelici ai ferri finanche nel suo legno.
Con tali princípi, la corte dovea stancarsi, e si stancň ben presto, delle noiose cure che la Giunta si prendeva per la salute dell'umanitá. Gli uomini dabbene, che la componevano, furono allontanati: non rimase altro che Fiore, il quale da piccioli princípi era pervenuto alla carica di uditore provinciale in Catanzaro, donde, fuggiasco pel taglione in tempo della repubblica, era ritornato in Napoli, come Mario in Roma, spirando stragi e vendette. Ritornň Guidobaldi, seco menando, come in trionfo, la coorte delle spie e dei delatori, che erano fuggiti con lui. A questi due furono aggiunti Antonio La Rossa e tre siciliani: Damiani, Sambuti ed, il piú scellerato di tutti, Speziale.
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Napoli Giunta Fiore Catanzaro Napoli Mario Roma Guidobaldi Antonio La Rossa Damiani Sambuti Speziale
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