Speziale si ricorda della sua antica amicizia: dal fondo di una fossa, ove il povero Fiani languiva tra' ferri, lo manda a chiamare; lo fa condurre sciolto, non giá nel luogo delle sedute della Giunta, ma nelle sue stanze. Nel vederlo gli scorrono le lagrime; lo abbraccia: - Povero amico! a quale stato ti veggo io ridotto! Io sono stanco di piú fare la figura di boia. Voglio salvarti. Tu non parli ora al tuo giudice; sei coll'amico tuo. Ma, per salvarti, convien che tu mi dica ciò che hai fatto. Queste sono le accuse contro di te. In Giunta fosti saggio a negare; ma ciò che dirai a me non lo saprá la Giunta... - Fiani presta fede alle parole dell'amicizia; Fiani confessa... - Bisogna scriverlo; servirá per memoria... - Fiani scrive. È inviato al suo carcere, e dopo due giorni va alla morte.
Speziale interrogò Conforti. Dopo avergli domandato il suo nome e la carica che nella repubblica avea ottenuto, lo fa sedere. Gli fa sperare la clemenza del re; gli dice che egli non avea altro delitto che la carica, ma che una carica eminente era segno di «patriotismo», e perciò delitto in coloro che erano stati, senza merito e senza nome, elevati per solo favore di fazione rivoluzionaria. Conforti era tale, che ogni governo sarebbe stato onorato da lui. Indi gli parla delle pretensioni che la corte avea sullo Stato romano. - Tu conosci - gli dice - profondamente tali interessi. - La corte ha molte memorie mie - risponde Conforti. - Sí, ma la rivoluzione ha fatto perdere tutto. Non saresti in grado di occupartici di nuovo?
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