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      (20) Solamente la nazione rise un poco, leggendo, nell'editto con cui si toglieva l'argento ai privati, che «la mente del re era quella di rimettere in vigore le antiche leggi suntuarie, tanto utili allo Stato». Chi fu mai il ministro che indusse il re a prestar il sacro suo nome a menzogna tanto evidente? Ed in qual altro caso mai è permesso ad un re di esporre ai suoi popoli i propri bisogni, se non quando questi bisogni sono bisogni dello Stato? Perché non si disse: «La patria è in pericolo; i bisogni della patria sono miei e vostri: salviamo la patria»? Quale idea dovea aver dell'onore e qual generositá dovea aver nell'animo il ministro che poté consigliare una simile versipelleria? Or il senso di onore e la nobiltá e generositá delle idee de' ministri non sono forse la piú esatta misura della vera forza di uno Stato?
      (21) Si avverta una volta per sempre che, in questa storia, «governo», «corte», ed anche «re» e «regina», sono tutti sinonimi di «Acton». Pochi sono i casi ne' quali convien distinguerli.
      (22) Il giubilo per questa vittoria si spinse fino all'indecenza: non si seppe nemmeno serbar le apparenze della neutralitá. La flotta inglese era tata chiamata dalla corte di Napoli; dalla medesima corte, sebbene sotto nome privato, era stata approvvisionata.
      (23) Mack, per salvar la sua fama, calunnia la nazione. Bonamy sembra piú inclinato a render giustizia a Mack che alla nazione, perché non conosceva questa ed era suo interesse, dopo la vittoria, lodare il generale vinto.


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Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799
di Vincenzo Cuoco
pagine 270

   





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