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      E, del resto, questa stessa facoltà era chiusa in strettissimi confini: pari a quelli tra' quali, fuggendo il secolo, volontariamente erasi ritratto l'anacoreta e il monaco, nè poteva attingere forze e forme da un mondo, o sconosciuto del tutto o dimenticato. Aggiungasi inoltre, che unico fine di questi semplici narratori era l'altrui edificazione, e l'invitare alla penitenza: e loro bastava gli animi duri e feroci rammollire, fortemente commovendoli colla novità e col terrore delle immagini.
      Hanno, per tali ragioni, tutte queste leggende carattere ingenuo, anzi fanciullesco, che di necessità ce le fa porre fuori della cerchia della vera poesia. La quale era bensì nell'argomento: non già nel modo com'esso veniva trattato. Certo, percorrendole tutte, qua e là troviamo qualche raggio di poetica luce, qualche forma che per dolce soavità o per sublime orridezza ci sorprende e ci ferma; ma il racconto manca di precisione: la descrizione difetta di quella virtù plastica, così propria di Dante che a noi par quasi di conoscere graficamente e architettonicamente i luoghi da lui rappresentati: tutta la tela è male ordita e peggio tessuta, con frequenti strappi e mal congegnate riprese: il sistema delle pene e dei premj corrisponde più al meschino intelletto dell'autore e alla mediocre casuistica conventuale, che non ad una meditata o felice armonia dei principj filosofici coi dogmi teologici, e le immagini e i paragoni che debbono aiutar le menti volgari a comprendere i misteri della vita eterna, fanno chiaramente vedere che l'autore, colla grossolana e corpulenta sua fantasia, non è molto da più di coloro che lo ascolteranno.


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I precursori di Dante
di Alessandro D'Ancona
Arnaldo Forni
1874 pagine 50

   





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