Le Visioni sono in questi libri soltanto parabole morali, come più tardi in altri diventeranno episodi meravigliosi, intromettendosi, prima, nella Leggenda di Barlaam e Josafat51, ed ivi consertandosi alla primitiva lezione indiana che narra la santa vita del Budda52, poi, nel romanzo di Alessandro, condotto dai favolatori innanzi alle soglie del terrestre paradiso53, e, per ultimo, nel racconto cavalleresco di Guerrino il Meschino54.
Questi germi, intanto, si vanno svolgendo col passar degli anni e dei secoli: la materia si accumula, e si direbbe quasi che la fantasia umana, la quale da gran tempo ha aperto uno spiraglio nel cielo e nell'inferno, e aiutata dalla non mai soddisfatta curiosità vi tien fisso lo sguardo, lo vada sempre più allargando, e sempre scuopra qualche cosa di nuovo. Tali meravigliose narrazioni non soffrono ormai più, in quest'ultimo e ferace periodo della letteratura claustrale, di andare commiste con altri scritti, e se ne separano; ma se acquistano maggiore ampiezza, non sono però meno indistinte e confuse. Così tra il settimo e l'ottavo secolo, già vediamo apparire la più lunga Leggenda di tre monaci orientali, s. Teofilo, s. Sergio e s. Igino che, messisi in cuore di ritrovar il luogo in che fu l'uom felice, posto dove il cielo, all'ultimo orizzonte, combacia colla terra, dopo mille vicissitudini e mille pericoli, traversata l'Africa e l'Asia, oltrepassati i segni piantati da Alessandro all'estremo confine del mondo, giungono, ad un lago pieno di serpenti; donde escono voci come di popolo innumerabile che piangesse ed urlasse: ed erano coloro che negarono Cristo.
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