Nella invenzione dei tormenti infernali mai forse la umana immaginazione fu così varia e potente, come quella dell'anonimo monaco autore di questa leggenda. L'inferno di Tundalo è ben più tetro di quello di Dante, ove almeno l'autore e il lettore a volta a volta si commuovono ai casi di Francesca e di Ugolino, si esaltano dinanzi ai grandi spiriti dell'antichità, sentono la nobiltà delle opere magnanime con Farinata, e il valore di quelle dell'ingegno con Brunetto Latini. Nella leggenda di Tundalo il solo sentimento eccitato è quello del terrore; con barbaro e veramente medievale raffinamento di martirio, le anime dei dannati sono prima condotte a vedere i gaudj degli eletti, perchè si addoppi loro la pena: ut magis doleant; i diavoli sono armati di spiedi e di tridenti infiammati, neri come carbone, con occhi come lampade ardenti, e code di scorpioni e ali di avvoltoio, e fatta al fuoco massa di molte anime, se le gettano, quasi giuocando alla palla, riparandole sui forconi81; ma le lagrime dell'anima peregrina, che già presente e in parte prova gli orribili tormenti infernali, paiono riserbate soltanto ai suoi proprj dolori. E se qui, come nella Divina Commedia, l'autore parla di sè e dei suoi fatti, noi perdoniamo a Dante, già prima che l'angelo gliela cancelli, la colpa della superbia, ch'ei magnanimo confessa: ma che diremo di Tundalo, che si accusa di aver rubato al suo compare una vacca82, e l'angelo lo obbliga a passar con quella, divenuta selvaggia e feroce, lo stretto ponte dell'abisso?
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