È facile infiammarsi oggi al ricordo di Bruno, estatico tra le fiamme che lo avvolgono; di Galileo «l'onnivedente prigionier d'Arcetri» che infrangendo il mistero degli astri, «il celeste baratro ai liberati occhi egli aperse».
Ma noi, di fronte ai liberali, conservatori di oggi, di fronte ai commentatori di questi martiri di ieri, commemoratori pronti a forgiare le catene per i ribelli del presente, noi saremmo tentati di prendere le difese dei reazionari del passato. Perchè nel senso della relatività della storia, per la scienza e la mentalità degli uomini del loro tempo, i Bruno, i Galileo, i Colombo, dovevano apparire realmente come dei perfidi profanatori delle «Idee sacre» pensate dagli avi; come dei dèmoni, che ponevano una bomba al centro del pernio sorreggente la società di allora. Ma quanta ragione avevano invece quei novatori, e mentre oggi il nome dei loro persecutori e dei loro carnefici è sepolto nell'oblio, ed è coperto d'infamia, il mondo non è abbastanza vasto per raccogliere e rievocare la memoria dei martiri.
L'umanità sa bene quanto deve ad essi: sa bene, che se in tutto il dominio della vita l'uomo ha progredito, si fu perchè nella notte buia e tetra dei secoli, pochi audaci sfidarono leggi, morale, famiglia, gloria, onori, avvenire, la morte stessa, pur di non rinunciare a proteggere un barlume di luce, fatto filtrare attraverso le tenebre dense della superstizione, col valore dell'esperimento o della intuizione.
La critica storica conosce oggi, che prima ancora degli eroismi della scienza, è stata necessaria la lotta per conquistare alla scienza la tolleranza sospettosa prima, e il diritto all'esistenza pubblica dopo.
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