E per ritornare all'obbiezione che voi mi faceste intorno all'effetto della sublimità dello spettacolo, in conferma di quanto vi rispondeva, vi faccio osservare, che soltanto a questo punto, in cui vediamo esser giunto il riguardante, di poter pascere la sua curiosità, può in lui destarsi l'idea del sublime, ed egli trarne, sotto questo aspet[91]to, piacere. Ma prima di questo momento l'idea del sublime non poteva entrare nella di lui mente preoccupata dal terrore, che tirannicamente la dominava.
Questa mi pare, se non m'inganno, la serie de' sentimenti che provar debbe ognuno il quale s'abbatta a vedere l'improvviso spettacolo d'un naufragio, o d'altra disgrazia; e parmi quindi, che Lucrezio abbia torto quando, supponendo in cotal circostanza un dolce piacere nel riguardante, dice che ciò dipende: quibus ipse malis careas, quia cernere soave est. Giacchè se il trovarci noi salvi e il vedere il nostro simile in pene fosse una circostanza producente piacere in grazia del confronto che noi facciamo tra noi ed il sofferente, ne verrebbe, che p. e. voi vi rechereste ad uno spedale pieno di miseri infermi ogni qual volta vorreste rallegrare il vostro cuore; gioireste nel mirare un uomo fracassato sotto le ruote d'un cocchio ec. ec., lo che viene cotidianamente contraddetto dal fatto, il quale ci attesta anzi, che alla vista di sì orridi spettacoli si mostra ancor meno coraggio di chi n'è l'oggetto, e si cade per fino in isvenimento. Il trovarci noi salvi ed il vedere il nostro simile in pene, è una circostanza piuttosto, che ci lascia dimenticare di noi stessi per pensare alla situazione degli infelici, e partecipare involontariamente de' loro martiri.
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Lucrezio
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