Le quali cose così essendo, parmi, che nel Ballo da voi menzionato, si dovesse appunto biasimar ciò, che ottenne in allora i non ragionati elogi della moltitudine; imperocchè egli è facile il convincersi, che si va al teatro per divertirsi, e non per ispaventarsi; e non v'è nessuno, che voglia a prezzo procacciarsi un sentimento di dolore. E ciò dico sul supposto, che l'evento corrisponda [113] all'intenzione dell'inventore: che se poi l'evento non corrisponde, allora è bensì vero che non produrrà spavento, ma non produrrà pure verun altro sentimento, fuorchè quello del compatimento allo scarso ingegno di chi concepì un sì povero pensiero; che è quanto dire, sarà un accidente inutilmente introdotto, e perciò biasimevole; giacchè nella tragedia, sia espressa in versi od in pantomima, tutto devo tendere a muovere gli affetti.
Dalle cose fin quì dette parmi evidentemente risultare 1.° Che diversa causa ripetono gli effetti prodotti da uno spettacolo di miseria reale, e quelli prodotti da uno simulato. 2.° Che una tragedia, bene condotta a rigor di termine in tutte le sue parti, non può che causar piacere nell'animo dello spettatore.
L. In questo momento convengo nelle vostre opinioni; solo avrei desiderato, nel vostro discorso, maggior brevità ed ordine, e minori ripetizioni e superfluità; giacchè non è facile trovar molte altre persone, che abbiano la sofferenza, che ho avuta io, in ascoltarvi.
T. Viva la sincerità.
[115] CANTO III.
Ma già tu rechi l'aurea cetra al seno,
O Diva, e scuote sonito più cupo
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Ballo Diva
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