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      Di THOR gigante il sanguinoso albergo;
      Tempo già fu, che nel marmoreo fiancoDel nubi-cinto Wèttone, scoppiando,
      Alto n'alzâr vulcanici torrentiLa cupola massiccia: infrante rupi
      A rupi imposte formano in sconnessiEnormi massi l'ardue torri e l'ampie
      Allungate cortine; al curvo tettoPonderosi pilastri fan sostegno;
      E, qua e là senza norma e l'un su l'altroA guisa d'Iri piegansi vasti archi:
      Giù scendendo dall'alto, in lattee strisce,
      Sottil fascetto d'illusivi raggiLustra i pendenti greppi e gli scoscesi
      Burroni e le voragini; ed indoraLa spaventosa tenebrìa profonda.
      Qui le Najadi, mentre ad ogni nuovoGiorno a THOR sacro convenièno appresso
      L'orrido tempio a celebrar le usatePalestre, spesso giù da rossi altari
      Vedean rivi grondar d'innocuo sangue,
      Che le terse lor onde e i verdeggiantiLetti di canne deturpava; acuto
      Gridar di madri udian, che strider fea[121] L'aure impaurite; e ferien lor l'orecchio
      Miseri lai di moribondi partiIn duro vinco imprigionati: in tanto
      Gli Ecchi d'abisso fuor da nere caveMettean voci di scherno, e in lor trionfo
      Empie Furie plaudian da ciascun balzo.
      Or quelle Ninfe, insin che lor non s'offreLa crudel vista, emergono da l'onde
      Alto sporgendo la nevosa spalla,
      Su cui l'azzurro crine erra disciolto;
      E in atto leggiadrette via trascorronoL'increspantesi rìo, liete ascoltando
      La rustica canzon del minatore,
      E del buon pecorajo. Ma sì tostoCome giganteggiar di lontan veggono
      La gran caverna, trepide sull'acqueVansi aggirando, e lagrimose gli occhi
      E palpitanti il cor, fuggono indietro


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Gli amori delle piante
di Erasmus Darwin
Pirotta e Maspero Milano
1805 pagine 266

   





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