Veste, la Lepra le sue macchie asconde;
E, di sè tolta, si convelle, e mordeLa muta Frenesia le sue catene.
PROMETÈO così pure, allor che l'iraDel Tonante sfidando, osò l'eterea
Rapir favilla a l'avvampante soglio,
E nascostala in sen, da gli ardui regniDel giorno scese, il fatal don recando
A l'umano suo fango; alto su i freddiCaucasei balzi dal Sicano fabbro
Fu catenato: irrequïeto ognoraMagro falco svolazza a lui d'intorno;
Ed egli in vano le convµlse membraStende e contorce, onde spezzare o sciorre
Gli eterni nodi adamantini: in tantoLieto de' suoi martir l'augello ingordo
Cogli spietati artigli, e con l'aduncoRostro, il tumido a lui fegato squarcia.
Rugiadosa le ciglia, ecco la bellaCICLAME esala il fuggente sospiro
Su l'esanime prole; e, basso al suolo[138] Chinando il capo, con pietose mani
Ne l'arena dà tomba al caro estinto.
Dolce pegno! anzi tempo ahimè languente,
Oh dormi, esclama, e più bel fior risorgi!
Tale allor che la Peste in su l'infermaLondra anelante, in suo furor, crollava
Gli umidi vanni, e tenebrosa intornoSpargea caligo; allor che nulla prece
Letta veniva, e niuna in lento suonoEra nenia cantata al derelitto
Ferètro innante, nè coprìa funereoVel le fredd'ossa: mentre Notte e Morte
Volgeano in mucchi le nudate salme,
E i cigolanti lor d'ebano carriVia traeva il Silenzio; in un col dolce
Sposo mietute videsi Cleonia
Sei amabili figlie; a l'affollatoTumulo in sen scender le vide, e pianse.
Lassa! al cielo sommessa, e di tranquillaReligïon piena la tener'alma,
Tutto bebbe del duol l'amaro sorso,
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