Per giungere a Buenos-Ayres ci sono circa quattrocento miglia in mezzo ad un paese disabitato. Partimmo di buon’ora al mattino; essendo saliti poche centinaia di metri dal bacino di erba verde sul quale sta Bahia Blanca, entrammo in una vasta e desolata pianura. Essa si compone di una roccia sminuzzata argilloso-calcarea, la quale per la natura asciutta del clima non produce che pochi sparsi cespiti di erba avvizzita, senza che un arboscello od un albero rompano quella monotona uniformità. Il tempo era bello ma l’atmosfera era nebbiosa; io credeva che significasse l’avvicinarsi di un temporale, ma i Gauchos mi dissero che ciò derivava dal fatto che la pianura a qualche grande distanza nell’interno era incendiata. Dopo una lunga galoppata, e dopo aver cambiato due volte i cavalli, giungemmo a Rio Sauce; esso è un fiumicello profondo, rapido, e di una larghezza non maggiore di metri 7,50.
La seconda posta sulla strada di Buenos-Ayres è collocata sulle rive di esso; un po’ al di sopra vi è un guado per i cavalli dove l’acqua non giunge loro al ventre; ma tolto questo punto quel fiume nel suo corso verso il mare è al tutto impraticabile, e quindi forma una utilissima difesa contro gli Indiani. Per quanto insignificante sia questo fiumicello, il gesuita Falconer, di cui le informazioni sono generalmente esattissime, lo descrive come un fiume notevole che ha origine alle Cordigliere. Riguardo a questa origine non credo la cosa esatta, perchè il Gaucho mi assicurò che nel mezzo dell’estate asciutta, questo corso d’acqua, contemporaneamente col Colorado, ha periodici straripamenti, che possono solo avere origine dalla neve che si scioglie sulle Ande.
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