Come la nostra pavoncella in alcune lingue d’Europa piglia il nome del suo grido, così è del teru-tero. Chi viaggia a cavallo sull’erbosa pianura, è costantemente inseguito da questi uccelli, che sembrano odiare l’uomo e meritano certamente di essere odiati pel loro continuo, monotono ed aspro grido. Tornano molto molesti al cacciatore, avvertendo ogni uccello ed ogni altro animale del suo avvicinarsi; al viaggiatore è possibile che siano utili, come dice Molina, dandogli avviso di qualche ladro notturno. Durante la nidificazione cercano come le nostre pavoncelle, di fingersi feriti per allontanare dal nido i cani e gli altri nemici. Le uova di questo uccello sono considerate come una grande leccornia.
Settembre 16. – Siamo alla settima posta ai piedi della Sierra Tapalguen. Il paese era al tutto piano, coperto di un’erba grossolana e di un terreno torboso e soffice. La capanna qui era notevolmente pulita, i pali e il tetto erano fatti di fascetti di steli di cardoni legati assieme con una cinghia di cuoio; e per sostenere queste colonne in certo modo coniche, il tetto e le pareti erano rivestite di canne. Ci fu qua raccontato un fatto, al quale non avrei dato fede, se non ne avessi avuto in parte una prova oculare; cioè, che nella notte precedente era caduta una grandine grossa come piccole mele, e sommamente dura e tanto violenta da uccidere buon numero di animali selvatici. Uno degli uomini aveva già trovato tredici cervi (Cervus campestris) morti, ed io vidi la loro pelle fresca; un altro della brigata pochi momenti dopo il mio arrivo ne portò ancora sette.
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