Mentre stavamo cambiando i cavalli a Guardia, molte persone ci interrogarono curiosamente intorno all’esercito – non ho mai veduto nulla che rassomigli all’entusiasmo destato da Rosas per la riuscita di «una guerra più giusta di quella perchè fatta contro i barbari». Confesso che questa espressione è naturalissima perchè fino a poco tempo fa, nè uomo, nè donna, nè cavallo erano al riparo dalle aggressioni degli Indiani. La marcia di quel giorno fu assai lunga attraverso alla stessa verde e rigogliosa pianura, ricca di molte mandre, e con qualche solitario podere sparso qua e là, col suo ombu. A sera cadde una pioggia dirotta; arrivati alla casa di posta il proprietario ci disse che se non avessimo avuto il passaporto in piena regola, noi avremmo dovuto continuare la nostra strada perchè vi erano tanti ladri da non prestar fede più ad alcuno. Quando egli lesse però il mio passaporto, che cominciava con queste parole: «El naturalista Don Carlos» il suo rispetto e la sua cortesia non ebbero limiti come prima i suoi sospetti erano stati illimitati. Quello che sia un naturalista nè lui nè i suoi compagni non hanno, credo, neppure l’idea; ma probabilmente il mio titolo non perdette per questo nulla del suo valore.
Settembre 20. – Verso la metà del giorno giungemmo a Buenos-Ayres. Il contorno della città ha un aspetto molto bello, colle sue siepi di agave, i suoi boschetti di olivi, di peschi e di salici, i quali tutti estendevano al vento le loro verdi foglie. Mi avviai verso la casa del sig.
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