A sera c’imbattemmo in un piccolo branco. Uno dei miei compagni, chiamato San Jago, separò subito una grossa femmina; lanciò le bolas, e la colpì sulle gambe, ma non potè ravvolgerle. Allora gettò il cappello per segnare il posto ove erano rimaste le palle, e mentre galoppava sciolse il suo lazo, e dopo una fiera caccia raggiunse di nuovo l’animale e lo prese per le corna. L’altro Gaucho era andato avanti coi cavalli di ricambio cosicchè San Jago ebbe una certa difficoltà ad uccidere l’animale infuriato. Fece in modo di condurlo sopra un terreno piano, traendo ogni volta partito dal momento che l’animale gli si avventava contro, e quando non potè più muoversi, il cavallo, che era stato a questo ammaestrato, s’impennava e col petto gli dava un urto violento. Ma sopra un terreno piano non sembra agevole cosa per un uomo solo uccidere un animale pazzo dal terrore. Nè ciò invero sarebbe facile se il cavallo, quando è lasciato a sè stesso senza il cavaliere, non imparasse subito a tenere per la propria salvezza stretto il lazo; quindi se l’animale va avanti il cavallo si muove precisamente in fretta allo innanzi; altrimenti rimane immobile curvandosi da un lato. Questo cavallo però era giovane e non stava immobile, ma andava dietro all’animale, mentre questo si dibatteva. Faceva meraviglia vedere con quanta destrezza San Jago si teneva sempre dietro l’animale, finchè riuscì a dare il colpo fatale al tendine principale della gamba posteriore; dopo di che senza molta difficoltà immerse il coltello sul principio del midollo spinale, e la vacca cadde come fulminata.
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