Credo che sia molto dubbio che la loro visita sia stata loro utile per qualche verso.
La sera, con Matthews a bordo, facemmo vela verso la nostra nave, non pel canale Beagle, ma per la costa meridionale. Le barche erano molto cariche ed il mare agitato onde avemmo un tragitto pericoloso. La sera del 7 eravamo a bordo della Beagle dopo un’assenza di venti giorni, durante la quale avevamo fatte trecento miglia in barche scoperte. L’11 il capitano Fitz Roy andò egli solo a visitare i nostri indigeni e trovò che ogni cosa andava bene, e che avevano perduto pochissimi oggetti.
L’ultimo giorno di febbraio dell’anno susseguente (1834), la Beagle getto l’àncora in un bello e piccolo seno all’imboccatura orientale del canale Beagle. Il capitano Fitz Roy, deliberò con grande ardimento, che fu coronato da un pieno successo, di andare contro i venti dell’ovest, seguendo la stessa strada che aveva tenuto con le barche, fino allo stabilimento di Woollya. Non vedemmo molti indigeni, finchè non ci trovammo presso lo stretto di Ponsonby, ove fummo seguiti da dieci o dodici barchette indigene. I selvaggi non comprendevano affatto la ragione del nostro bordeggiare, e, invece d’incontrarci ad ogni giro, invano tentavano di seguirci nella nostra corsa a ghirigori. Io mi compiaceva a considerare quale diverso effetto si provi contemplando i selvaggi, secondochè si è più o meno in forze. Mentre era nella barche venni fino ad odiare il suono di quelle voci, tanta molestia esse mi davano. La prima e l’ultima parola era «yammerschooner». Quando, dopo essere entrati in qualche tranquillo seno, ci eravamo guardati attorno, ed avevamo sperato di passare una notte in calma, quella odiosa parola yammerschooner, aveva risuonato stridulamente da qualche buio cantuccio, e poi il piccolo segnale di fumo era salito per spargere tutto intorno le nuove del nostro arrivo.
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