Avevamo una bellissima vista di una massa di monti chiamati Tupungato, tutti rivestiti di una neve uniforme, nel mezzo della quale vi era una macchia azzurra, senza dubbio un ghiacciaio – fatto rarissimo in quei monti. Ora cominciava una lunga e dura salita, simile a quella del Peuquenes. Alte e coniche colline di granito rosso sorgevano da ogni parte; nelle valli v’erano parecchie grandi distese di neve perpetua. Quelle masse gelate, durante il processo dello scioglimento, sono state in alcune parti convertite in pilastri o colonne100, le quali siccome erano alte e vicinissime, rendevano difficile il passaggio, alle mule cariche. Sopra una di queste colonne di ghiaccio, un cavallo gelato stava attaccato come sopra un piedistallo, ma colle zampe posteriori diritte all’aria. Suppongo che, quell’animale deve essere caduto col capo all’ingiù in una buca, quando la neve era continua, ed in seguito le parti dei lati debbono essere sparite per lo sciogliersi della neve.
Quando fummo quasi sulla cresta del Portillo, una nube di minute spicole gelate ci ravvolse tutti. Questo fu un vero contrattempo, che continuò tutto il giorno e ci tolse tutta la vista del paesaggio. Il passo prende il suo nome di Portillo, da uno stretto archivolto sulla cima più alta, attraverso il quale passa la strada. Da questo punto, in un giorno sereno, si possono vedere quelle vaste pianure che si estendono senza interruzione fino all’Oceano Atlantico. Scendemmo fino al limite superiore della vegetazione, e si trovò un buon ricovero per la notte sotto grossi frammenti di roccia.
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