Aprile 4. – Dal Rio de las Vacas al Puente dell’Incas, vi è una mezza giornata di viaggio. Siccome vi era pascolo per le mule e geologia per me, ci preparammo a passar qui la notte. Quando si sente parlare di un ponte naturale, uno si figura qualche profondo e stretto burrone, in mezzo al quale sia caduto un grosso masso di roccia; oppure un grande arco scavato come la vòlta di una caverna. Invece di questo, il ponte dell’Incas è fatto di una crosta di selce stratificata, cementata insieme dai depositi delle sorgenti calde vicine. Sembra che la corrente abbia scavato un canale da un lato, lasciando un orlo sporgente, che fu incontrato dalla terra e dalle pietre che cadevano giù dal dirupo opposto. Certamente un congiungimento obliquo, come suol essere in questo caso, era distintissimo sopra un lato. Il ponte degli Incas non è per nulla degno dei grandi monarchi di cui porta il nome.
Aprile 5. – Abbiamo avuto un lungo giorno di viaggio attraverso la catena centrale, dal ponte Incas alle Oyos dell’Agua, che sono situati presso la casucha più bassa sul pendio Chiliano. Queste casucha sono torricelle rotonde, con tanti gradini esterni che vanno fino al terreno, che è rialzato alcuni piedi dal suolo per la caduta delle nevi. Sono in numero di otto, e sotto il governo spagnuolo erano durante l’inverno ben provviste di commestibili e di carbone, ed ogni corriere aveva una chiave di esse. Ora non servono che come caverne, o meglio fortezze. Collocate sopra qualche piccola eminenza, non sono però male adatte alla scena di desolazione che le circonda.
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