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      Il loro corpo non è molto muscoloso. Di rado mangiano carne una volta la settimana, e mai più sovente, ed allora non mangiano che il loro duro e secco charquì. Quantunque si sapesse che il lavoro era volontario, nondimeno rivoltava vedere lo stato in cui giungevano all’ingresso della miniera; col corpo piegato all’innanzi, appoggiati con le braccia sugli scalini, le gambe inarcate, i muscoli tremanti, il sudore che sgocciolava loro dal volto fino al petto, le narici aperte, gli angoli della bocca per forza tratti indietro, ed il respiro affannosissimo. Ogni volta che prendevano fiato mandavano un grido articolato come ay-ay, che finiva con un suono dal profondo del petto, ma acuto come la nota di un piffero. Dopo essere andati barcollando fino al mucchio del minerale, vuotavano il carpacho; in due o tre secondi riprendevano fiato, si asciugavano il sudore della fronte, ed in apparenza al tutto riposati ridiscendevano con svelto passo nella miniera. Questo mi sembra un esempio meraviglioso della somma di lavoro cui l’abitudine, perchè non può essere altro, rende l’uomo capace di sopportare.
      La sera, ciarlando col mayor-domo di quelle miniere, intorno al numero di forestieri sparsi ora sopra tutto il paese, egli mi disse che, sebbene fosse giovane, si ricordava che quando da bambino andava a scuola a Coquimbo, venne data una vacanza per vedere il capitano di una nave inglese, che era andato in città per parlare col governatore. Egli crede che nessun fanciullo di quella scuola si sarebbe accostato per nessun prezzo a quell’inglese; tanto profondamente erano stati imbevuti dall’idea dell’eresia, contaminazione e danno che sarebbe loro derivato dal contatto con una persona di quella fatta.


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Diario di un naturalista giramondo
di Charles Darwin
pagine 739

   





Coquimbo