L’indomani ritornai all’Hacienda, e di là, con Don Josè a Coquimbo.
Giugno 2. – Ci mettemmo in viaggio per la valle di Guasco, seguendo la strada costale, che era considerata come un po’ meno deserta dell’altra. Nel nostro primo giorno di cammino si giunse ad una casa solitaria, chiamata Yerba Buena, ove vi era pascolo pei nostri cavalli. La pioggia già menzionata caduta due settimane fa, è giunta soltanto a mezza strada di Guasco; quindi nella prima parte del nostro viaggio avemmo un lieve strato di verde, che subito scomparve. Anche dove era più rigoglioso bastava appena per ricordarci i freschi prati e i numerosi fiori della primavera degli altri paesi. Mentre si viaggia in mezzo a questi deserti si prova la sensazione di un prigioniero chiuso in un cortile oscuro, che anela a vedere alcun che di verde e respirare un’atmosfera non tanto asciutta.
Giugno 3. – Da Yerba Buena a Carizal. Durante la prima parte del giorno abbiamo attraversato un deserto montuoso e roccioso, poi una lunga e profonda pianura di sabbia sparsa di conchiglie marine rotte. Vi era pochissima acqua, e quella poca salmastra: tutto il paese dalla costa fino alle Cordigliere, è un deserto disabitato. Vidi traccie abbondanti soltanto di un animale vivente, cioè i nicchi di un bulimus, che erano raccolti insieme in un numero straordinario sopra luoghi asciuttissimi. In primavera una modesta pianticella mette fuori alcune foglie, e di queste vive l’animale. Siccome si veggono soltanto il mattino di buonissima ora, quando il terreno è lievemente umido dalla rugiada, i Guasos credono che derivino da quella.
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