Un giorno andai con alcuni negozianti a cacciare nel contorno immediato della città. La nostra caccia fu meschinissima; ma ebbi occasione di vedere le rovine di uno degli antichi villaggi indiani, col suo mucchio di avanzi nel centro sorgente come un colle naturale. Gli avanzi delle case, dei recinti, dei canali d’irrigazione, e delle sepolture, sparsi sulla pianura, non potevano a meno di dare un’alta idea della condizione e del numero dell’antica popolazione. Quando si considerano le loro stoviglie, le loro stoffe di lana, i loro utensili dalle forme eleganti tratti dalle roccie più dure, gli ordegni di rame, gli ornamenti di pietre preziose, i palazzi, le opere idrauliche, è impossibile non sentir rispetto pel grande progresso da essi compiuto nelle arti dello incivilimento. I tumuli sepolcrali, chiamati Huacas, sono invero stupendi; quantunque in certi punti sembrino colline naturali incassate e modellate.
Vi è pure un’altra classe di rovine molto differente, non priva di un certo interesse, quelle cioè dell’antico Callao, distrutto dal grande terremoto del 1746, col suo susseguente maremoto. La distruzione deve essere stata più compiuta anche di quella di Talcahuano. Grandi massi di ghiaia nascondono quasi le fondamenta dei muri, ed enormi mucchi di rottami sembrano essere stati trascinati come ciottoli dalle onde che si ritiravano. È stato riconosciuto che durante quella memorabile scossa, il terreno si abbassò: non potei scoprire nessuna prova di questo fatto; tuttavia non sembra improbabile, perchè la forma della costa deve certamente aver sopportato qualche mutamento dopo la fondazione dell’antica città; perchè nessuna popolazione ragionevole avrebbe scelto di sua volontà, per fabbricarla, lo stretto tratto coperto di ciottoli sul quale stanno ora le rovine.
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