Una folla di uomini, di donne, di fanciulli raccolti sulla memorabile Punta di Venere, ci aspettavano per riceverci con volti allegri e ridenti. Essi ci avviarono alla casa del signor Wilson, missionario della località, il quale ci incontrò sulla via, e ci ricevette con grande amorevolezza. Dopo di esserci riposati un poco di tempo nella sua casa, ci separammo per andare a spasso, ma tornammo colà la sera.
Il terreno coltivabile, è dappertutto poco più di una striscia di terra di alluvione bassa, accumulata intorno alle falde dei monti, e protetta dalle onde del mare da un banco di corallo che circonda tutta la linea costale. Entro questo banco v’ha una distesa di acqua tranquilla, come quella di un lago, ove le barchette degli indigeni possono muoversi senza timore e dove le navi gettano l’àncora. Il terreno basso che scende fino alla spiaggia di sabbia corallifera, è coperto dei più bei prodotti delle regioni tropicali. In mezzo alle banane, agli aranci, alle noci di cocco, ed agli alberi del pane, alcuni tratti sono diboscati e vengono coltivati con gams, patate dolci, canne da zucchero, ed ananassi. Anche la bassa vegetazione è costituita da un albero fruttifero importato, cioè il guava, il quale per essere divenuto tanto abbondante è nocevole quasi quanto un’erbaccia. Nel Brasile ho spesso ammirato il contrasto prodotto dalla svariata bellezza dei banani, delle palme, degli aranci; e qui avevamo di più l’albero del pane, bellissimo, per le sue foglie grandi, lucenti e profondamente dentellate.
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