Novembre 18. – Al mattino scesi a terra di buon’ora, portando con me alcune provviste in un sacco, e due coperte per me e pel servitore. Queste erano legate ad ogni capo da una lunga pertica, che era portata sulle spalle alternativamente dai miei compagni Tahitiani. Quegli uomini sono avvezzi a portare, per un giorno intero, anche un peso di venticinque chilogrammi appeso ad ogni capo delle loro pertiche. Dissi alle mie guide di provvedersi di cibo e di vestimenta; ma mi risposero che sui monti avrebbero trovato di che nutrirsi abbondantemente, e pel vestiario bastava la loro pelle. Il nostro cammino era per la valle di Tia-auru, lungo la quale scorre un fiume che si versa nel mare alla Punta di Venere. Questo è uno dei principali corsi d’acqua dell’isola, e la sua sorgente scaturisce alle falde delle guglie centrali più alte, che sorgono all’altezza di 2100 metri. Tutta l’isola è tanto montuosa che il solo mezzo per penetrare nell’interno è quello di risalire le valli. Dapprima la nostra strada passava in mezzo ai boschi che fiancheggiano i due lati del fiume, e la rapida e confusa vista delle guglie centrali, che si aveva in mezzo agli alberi, con qua e là un albero di cocco che alzava la cima da un lato, era sommamente pittoresca. La valle andò subito ristringendosi, e le sponde si fecero alte e più scoscese. Dopo aver camminato tre o quattro ore, trovammo che il fondo del burrone era appena superiore al letto di un corso d’acqua. Dai due lati le pareti erano quasi verticali; tuttavia per la natura molle degli strati vulcanici, gli alberi ed una bella vegetazione sporgevano dall’orlo di quelle pareti.
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