Quei precipizi dovevano essere alti un migliaio di metri; ed il complesso formava una gola di monte molto più bella e grandiosa di quello che avessi fino allora veduto. Fino al mezzogiorno il sole rimase verticalmente sopra il burrone, l’aria era fresca ed umida, ma allora divenne soffocante. All’ombra di una sporgenza di roccia, sotto una parete di lava a colonne, mangiammo il nostro desinare. Le mie guide si erano già procurato un piatto di pesciolini e di granchiolini d’acqua dolce. Avevano portato con loro una reticella stesa sopra un cerchio, ed ove l’acqua era profonda e faceva gorghi si tuffavano, e come lontre, cogli occhi aperti seguivano il pesce nei buchi e negli angoli e così lo prendevano.
I Tahitiani hanno la destrezza degli animali anfibi nell’acqua. Un aneddoto menzionato da Ellis mostra quanto si sentano a casa loro in questo elemento. Quando nel 1817 veniva sbarcato un cavallo per Pomarè, la barca si ruppe, ed esso cadde nell’acqua: immediatamente gli indigeni si gettarono in acqua, e colle loro grida e vani tentativi di aiuto quasi lo fecero affogare. Appena, però, il cavallo fu giunto alla sponda, tutta la popolazione se la diede a gambe, e andò a nascondersi pel timore del maiale che portava un uomo, come battezzarono essi il cavallo.
Un po’ più in su, il fiume si divideva in tre piccole correnti. Le due settentrionali erano impraticabili, per una serie di cascate che scendevano dalle cime dentellate delle più alte montagne; l’altra aveva tutta l’apparenza di essere pure inaccessibile, ma riuscimmo a salirla per una strada ben straordinaria.
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Tahitiani Ellis Pomarè
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