Dicembre 19. – La sera vedemmo in lontananza la Nuova Zelanda. Bisogna aver navigato sopra quel vastissimo oceano per comprenderne l’immensità. Procedemmo avanti con buona andatura per intere settimane senza mai incontrar altro che lo stesso mare azzurro e profondissimo. Anche negli arcipelaghi le isole non sembrano che macchie, e molto distanti le une dalle altre. Avvezzi a guardare le carte geografiche disegnate sopra piccola scala, ove le macchie, le ombre, i nomi s’incrociano per ogni verso, non possiamo giudicare bene quanto infinitamente piccola sia la proporzione di terra asciutta in confronto dell’acqua di quella vasta distesa. Abbiamo oltrepassato anche il meridiano degli antipodi; ed ora ogni miglio, pensavamo noi con gioia, era un miglio più vicino all’Inghilterra. Questi antipodi richiamano alla nostra mente antiche ricordanze di dubbi e di meraviglie infantili. Solo l’altro giorno io desiderava questa aerea barriera come un punto definito del nostro viaggio verso la patria; ma ora mi accorsi che questo, come tutti i punti di sosta della nostra immaginazione, somiglia alle ombre che un uomo che cammina non può mai afferrare. Una burrasca che durò parecchi giorni, ci diede pienamente la misura delle future stazioni del nostro lungo viaggio di ritorno, e ce ne fece desiderare ardentemente la fine.
Dicembre 21. – Entrammo di buon’ora nel Golfo delle Isole, e siccome vi furono alcune ore di calma presso l’imboccatura, non giungemmo all’ancoraggio fino alla metà del giorno.
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