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      Il paese è montuoso, con un profumo dolce, ed è profondamente interrotto da molti bracci di mare che si estendono dal golfo. La superficie sembra da una certa distanza come se fosse coperta di un’erba grossolana ma in realtà, non sono altro che felci. Sulle colline più lontane, come pure in certe parti delle valli, vi è buona copia di terra boscheggiata. La tinta generale del paesaggio non è un bel verde brillante; ed il paese somiglia ad una piccola distanza al sud di Concezione nel Chilì. In molti punti del golfo, alcuni villaggetti di case quadrate e pulite sono sparse fino all’orlo dell’acqua. Tre bastimenti balenieri erano ancorati, e di tratto in tratto una barchetta andava da una sponda all’altra; tranne queste eccezioni, un’aria di grande quiete regnava in tutta la località. Una sola barchetta si accostò alla nostra nave. Questo, e l’aspetto di tutta la scena, faceva uno spiccato, quantunque non gradito contrasto, coll’allegro e chiassoso ricevimento avuto da noi a Tahiti.
      Nel pomeriggio scendemmo a terra e ci avviammo verso uno dei gruppi più grandi di case, che tuttavia non merita il nome di villaggio. Si chiama Pahia: è la residenza dei missionari, e non vi si trovano altri indigeni che i servitori e i coltivatori. Presso il Golfo delle Isole, il numero degli Inglesi, comprese le loro famiglie, sale dai due ai trecento individui. Tutte le capanne, molte delle quali sono imbiancate ed hanno un aspetto di molta nettezza, appartengono agli inglesi. I tuguri degli indigeni sono tanto piccoli e miseri che appena si scorgono ad una certa distanza.


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Diario di un naturalista giramondo
di Charles Darwin
pagine 739

   





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