Gennaio 12, 1836. – Di buon ora al mattino una lieve brezza ci portava verso l’ingresso di Porto Jackson. Invece di vedere un paese verde, sparso di belle case, una linea diritta di rupi giallognole ci ricordò alla mente le coste della Patagonia. Un faro solitario, costrutto di pietre bianche, solo ci annunziava che eravamo presso ad una grande e popolosa città. Essendo entrati nel porto, esso ci apparve bello e spazioso, con spiaggie scogliose di arenaria stratificata orizzontale. Il paese quasi piano è coperto di alberetti sottili e stentati, che mostrano la maledizione della sterilità. Andando più dentro terra, il paese migliora; belle ville e graziose capanne sono sparse qua e là lungo la spiaggia. In lontananza, alcune case di pietra, alte due a tre piani, e parecchi mulini che sorgevano sull’orlo di un banco ci indicavano la vicinanza della capitale dell’Australia.
Alla fine gettammo l’àncora entro il golfo Sydney. Trovammo un piccolo bacino occupato da molti grandi bastimenti e circondato da magazzini per le merci. A sera andammo a passeggiare nella città, e tornammo tutti ammirati per quello spettacolo. È la prova più splendida della potenza della nazione inglese. Qui, in un paese meno fertile, pochi anni hanno fatto molto di più di quello che si sia fatto in un numero uguale di secoli nel Sud America. Il mio primo sentimento fu quello di congratularmi meco per esser nato inglese. Avendo poi veduto meglio la città, forse la mia ammirazione scemò alquanto; ma tuttavia è una bella città. Le strade sono regolari, larghe, pulite, e tenute in buonissimo ordine; le case sono ampie e le botteghe ben fornite.
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