Aprile 6. – Accompagnai il capitano Fitz Roy in una isola in capo alla laguna: il canale era intricatissimo, e girava in mezzo a campi di coralli dai rami delicatissimi. Vedemmo parecchie tartarughe, e due battelli erano là per farne caccia. L’acqua era tanto chiara e poco profonda, che sebbene dapprima una tartaruga si tuffi rapidamente e si perda di vista, tuttavia, quelli che la inseguono in una barchetta o in un battello colle vele aperte, in breve le giungono addosso. Un uomo ritto alla prora sta all’erta e si slancia nell’acqua sul dorso della tartaruga; allora attaccato colle mani al collo, è portato via finchè l’animale stanco e sfinito viene preso.
Era una caccia interessantissima da osservare quella delle due barchette quando si passavano vicine cercando di superarsi a vicenda, mentre gli uomini facevano a gara a tuffarsi col capo prima nell’acqua per impadronirsi della preda. Il capitano Moresby mi informò che nell’arcipelago Chagos nello stesso mare, gli indigeni tolgono alla tartaruga viva la sua scaglia. «La coprono di carboni ardenti, che fanno sì che la scaglia esterna si piega all’insù, allora la tolgon via con un coltello, e prima che si raffreddi la appiattiscono mettendola in mezzo a tavole. Dopo questa barbara operazione lasciano che l’animale ritorni nel suo nativo elemento, ove, dopo un certo tempo, si forma un nuovo guscio; esso è, però, troppo sottile per servire molto, e l’animale sembra sempre debole e malaticcio.
Quando fummo giunti in fondo alla laguna, attraversammo una stretta isoletta e trovammo che grossi cavalloni si frangevano sulla costa sottovento.
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Accompagnai Fitz Roy Moresby Chagos
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