Ma questa grossolana parete di cera deve in ogni caso essere lavorata e ridotta a perfezione dalle api, che la incavano profondamente da ambe le parti. È molto curioso il modo tenuto dalle api nel costruire le loro celle; esse formano sempre il primo rozzo strato dieci o venti volte più grosso della parete eccessivamente delicata della cella, parete che infine deve rimanere. Noi possiamo comprendere come esse lavorano, supponendo che dei muratori formino dapprima un grande ammasso di cemento, e quindi comincino da ambi i lati a levare ugualmente fino al livello del suolo tutto l'eccedente del muro sottile che deve restare nel mezzo, rimettendo sempre sopra l'ammasso il cemento sottratto ai fianchi e mescolandolo con cemento fresco. Si avrebbe in tal modo un muro sottile, che si alzerebbe costantemente e porterebbe alla sommità una gigantesca cornice. Tutte le celle, siano appena cominciate, siano compiute, rimangono così coronate di un forte bordo di cera e permettono quindi alle api di riunirsi ed appoggiarsi sul favo, senza danneggiare le delicate pareti esagone. Queste pareti sono molto variabili in grossezza, come gentilmente mi fu accertato dal prof. Miller: però una media di dodici misure prese sui margini diede 1,353 di pollice inglese di grossezza; mentre sopra ventun misure prese, le faccie delle basi romboidali si trovarono di 1,229 di pollice, cioè più grosse, incirca secondo la proporzione di tre a due. Per questa singolare maniera di fabbricare, il favo rimane continuamente solido, trovandosi infine risparmiata una grande quantità di cera.
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