V’ha un crudo dilemma, al quale non sembra possibile sottrarsi: – o accettare la teoria dell’origine naturale dell’uomo; – o rinunciare per sempre a comprendere l’organizzazione, le facoltà mentali, i sentimenti, gli istinti, i costumi e le abitudini di quest’essere che il Darwin chiama “meraviglia e gloria dell’universo”. Ad ogni passo l’anatomista ed il fisiologo, l’etnologo ed il filosofo s’imbattono in una moltitudine di fatti e di fenomeni che sono altrimenti inesplicabili, e che soltanto questa dottrina può liberare dal fitto velo che li avvolge.
Nel discutere le origini dell’umanità, il Darwin, che non è abituato a sfondare porte aperte, concentra tutta la potenza del suo ingegno sulle parti più difficili del problema, e cerca di dimostrare che nemmeno i caratteri desunti dalle facoltà mentali, dal linguaggio e dalle idee religiose e morali scavano un abisso tra l’uomo e gli animali sottostanti, e completa quest’analisi colle sue osservazioni sull’espressione dei sentimenti, dalle quali emergono nuovi argomenti per sostenere l’affinità o parentela che collega insieme tutti i mammiferi superiori, non esclusa la nostra specie, ed accenna ad un’origine comune.
Lo esporre francamente le conseguenze delle ricerche scientifiche è spesso, come nella questione presente, un’impresa ingrata ed odiosa; ed io mi ricordo, siami lecita un’allusione personale, che nel 1867, quando, primo in Italia, toccava con metodo scientifico quest’argomento davanti ad un’accademia del regno, questo sodalizio deliberava di non pubblicare il mio lavoro, per non compromettere il suo decoro.
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