A ragione si è detto, che noi viviamo nel secolo delle scienze naturali: e non credo di essere nel torto, se soggiungo che il più bell’albero cresciuto in quest’epoca è quello del darwinismo. È un albero ormai robusto, che ha gettato radici profonde nel suolo, e che gli avversari hanno contribuito a fortificare, scuotendone il tronco e liberandolo dai rami superflui e disseccati. Nondimeno il darwinismo ha difetti e lacune, che il modestissimo suo antesignano non ha mai cercato di nascondere. La scelta sessuale, come fu stabilita dall’autore, non è da tutti accettata, e sembra necessario circoscriverla entro limiti più ristretti, e chiamare in aiuto l’elezione naturale per spiegare in modo sufficiente e plausibile la lunga serie dei caratteri sessuali secondari. L’ipotesi arditissima della pangenesi non è accolta da alcuni entusiastici fautori dell’evoluzione, mentre ad altri sembra una rivelazione del più alto valore.
Due sono le lacune principali del darwinismo. Questa dottrina, innanzi tutto, lascia inesplicata la genesi del primo organismo apparso sulla terra. Se tale silenzio può dirsi prudente e richiesto dallo stato attuale delle nostre cognizioni, non è però meno vero, che alla soluzione di questo quesito dovranno convergere tutte le forze degli scienziati dell’avvenire. In astratto ed a priori si giunge bensì alla conclusione, che la prima e più bassa forma vivente debba essere scaturita dal regno inorganico; ma le prove positive di tale asserto ci fanno ancora difetto, e molto meno conosciamo il modo di questa supposta trasformazione della materia bruta in protoplasma.
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