Columella(453) e Varrone (sono già diciotto secoli) ricordano la necessità di tenere le anitre chiuse in recinti come gli altri uccelli selvatici; donde si comprende che a quest'epoca si temeva che avessero a fuggire. Per giunta, il consiglio dato da Columella a coloro che desideravano aumentare il numero delle loro anitre, di raccogliere cioè le uova dell'uccello selvatico e di metterle sotto una gallina, prova "che in allora l'anitra non era ancora diventata l'ospite naturalizzato e prolifico della bassa corte romana". Quasi tutte le lingue d'Europa, come lo riconobbe già molto tempo fa l'Aldobrandi, attestano la provenienza dell'anitra domestica dalla specie selvatica, perchè tutte appellano l'una forma e l'altra collo stesso nome. L'anitra selvatica offre una immensa distribuzione, che si stende dall'Himalaia all'America del Nord. Essa s'accoppia liberamente colla forma domestica, e dà prodotti meticci perfettamente fecondi.
Tanto nell'America settentrionale quanto in Europa, si constatò che riesce agevole domesticare l'anitra selvatica; e ch'essa, allo stato captivo, si riproduce facilmente. Lo esperimento fu fatto in Svezia da Tiburtius, che riuscì ad allevarne tre generazioni, senza osservare in alcuna di loro la menoma variazione, sebbene le trattasse come anitre domestiche. Gli anitrocchi soffrivano perchè si lasciavano andare nell'acqua fredda,(454) il che, com'è noto, avviene pure, benchè raramente, per i giovani anitroccoli domestici. Un accurato e ben conosciuto osservatore inglese(455) descrisse dettagliatamente i suoi ripetuti e ben riesciti esperimenti sulla domesticazione dell'anitra selvatica.
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