Così sembra, a prima giunta, meraviglioso che l'uomo selvatico abbia, in tre parti lontane del globo, trovato, tra una moltitudine di piante indigene, che le foglie del the e le bacche del caffè contengano una sostanza nutritiva e stimolante, che fu recentemente dalla chimica riconosciuta la medesima. Si comprende ancora, come i selvaggi, sofferenti di pertinaci costipazioni, dovessero naturalmente osservare, se alcuna tra le radici che mangiavano possedesse delle qualità aperitive. Probabilmente, tutte le nostre cognizioni sugli usi delle piante le dobbiamo al fatto che l'uomo avendo vissuto allo stato barbaro, fu costretto dal bisogno a nutrirsi presso a poco di tutto ciò ch'egli poteva masticare ed inghiottire.
Da ciò che noi conosciamo delle abitudini dei selvaggi nelle differenti parti del mondo, non c'è ragione a supporre che i nostri cereali siano esistiti originariamente allo stato attuale, così prezioso per l'uomo. Vediamo come vada la cosa nel continente africano. Barth(537) racconta che gli schiavi in molta parte della regione centrale raccolgono regolarmente i semi di un'erba selvaggia, il Pennisetum disticum; egli vide, in un'altra contrada, le femmine raccogliere i semi di una poa conducendo attorno una specie di cesto rasentante le ricche praterie. Presso Tete il Livingstone ha visto gli indigeni raccogliere semi di un'erba selvatica; e, più al mezzodì, al dire di Anderson, gli abitanti fanno gran uso di un seme, grande quanto quello della falaride, ch'essi mettono a cuocere nell'acqua.
| |
Pennisetum Tete Livingstone Anderson
|