I Polinesiaci si sono sì spesso smarriti nell'Oceano, che tale grado di prudenza è forse proprio ad ogni società migrante; quindi gli antichi colonizzatori della Nuova Zelanda, ed i più recenti colonizzatori europei, non sentivano alcun eccitamento alla coltivazione delle piante indigene. Secondo De Candolle, noi dobbiamo al Messico, al Perù ed al Chili trentatre piante utili; nè questo fatto è sorprendente, se riflettiamo al grado di civilizzazione degli indigeni di quei paesi, giudicandolo dal fatto che vi era stata introdotta la irrigazione artificiale, si praticavano gallerie nelle roccie dure senza la conoscenza del ferro e della polvere, ed inoltre, come vedremo in un capitolo seguente, si esercitava sugli animali, e quindi probabilmente anche sulle piante, l'importante principio della elezione. Il Brasile ci ha dato qualche pianta, e gli antichi viaggiatori, e tra essi Vespucci e Cabral, descrivono il paese come assai popolato e coltivato. Nell'America del Nord,(547) gli indigeni coltivavano il mais, le zucche, fave e piselli, "tutti diversi dai nostri", e tabacco; e noi non possiamo in modo alcuno affermare che nessuna delle nostre piante attuali discenda da queste forme dell'America del Nord. Se questo paese fosse stato civilizzato per un sì lungo periodo, e tanto fittamente popolato, come l'Asia e l'Europa, è probabile che la vite indigena, i gelsi, i pomi e pruni avrebbero, per l'effetto di una lunga coltivazione, dato origine ad una grande quantità di variazioni, delle quali il maggior numero sarebbe assai differente dal tipo originario; inoltre le piante nate da semi accidentalmente sfuggiti alla coltura avrebbero nel Nuovo Mondo, come avvenne nell'antico, singolarmente complicata la questione relativa alle loro differenze specifiche ed alla loro origine.
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