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      È probabilmente dietro la credenza generale, d'altronde abbastanza ben fondata, che cioè l'incrociamento fra specie distinte, mescolando i loro caratteri, favorisca la variabilità, che alcuni botanici hanno sostenuto(1652), che allorquando un genere non comprende se non una sola specie, questa non varia mai assoggettandola alla coltura. Una proposizione così assoluta non è ammissibile, ma è probabilmente vero che la variabilità dei generi molteplici coltivati è minore di quella de' generi contenenti specie numerose, e questo indipendentemente da ogni effetto dovuto all'incrociamento. Io ho già osservato nella mia Origine delle specie, che le specie appartenenti a generi piccoli forniscono ordinariamente, allo stato di natura, meno varietà di quelle appartenenti a generi estesi. D'onde le specie appartenenti a piccoli generi sotto coltura dovrebbero probabilmente produrre minor numero di varietà, che le specie già variabili dei generi maggiori.
      Quantunque noi non abbiamo attualmente prove sufficienti per sostenere che l'incrociamento delle specie che non furono mai coltivate, determini l'apparizione di caratteri nuovi, ciò sembra tuttavia succedere in quelle divenute un po' variabili per la coltura. Dunque l'incrociamento, come ogni altro cangiamento nelle condizioni esterne, sembra essere uno degli elementi, e probabilmente uno dei più possenti, che determinano la variabilità. Ma, come abbiamo precedentemente osservato, noi non possiamo se non di rado distinguere fra l'apparizione di caratteri realmente nuovi e la riapparizione di quelli da lungo tempo perduti, e cui l'incrociamento sembra evocare.


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Variazione degli animali e delle piante allo stato domestico
di Charles Darwin
Utet
1876 pagine 1426

   





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