Quegli fece un cenno d'approvazione con la sua bella testa bianca, senza parlare, com'era suo uso, e volti di nuovo gli occhi per aria, si rimise a pensare. Allora il segretario se n'andò in punta di piedi, entrò nella sua camera, cavò da un cassetto chiuso una lettera di quattro facciate scritte con perfetta calligrafia, la rilesse con profonda attenzione, la rimise nella busta con gran riguardo, vi attaccò un francobollo con molta cura, uscí di casa senza farsi sentire, e arrivato al canto della strada, dopo esser rimasto un po' incerto con la mano alzata davanti alla buca delle lettere, vi lasciò cadere la sua. Poi tirò un lungo respiro. Il dado era tratto. Non c'era più che a rimettersi a Dio.
Il segretario Celzani passava di pochi anni la trentina; ma aveva la compostezza d'aspetto e di modi d'un uomo di cinquanta, una figura di notaio da commedia o di precettore di casa patrizia clericale. Rimasto orfano da ragazzo, era stato raccolto da uno zio materno, parroco di villaggio, che l'aveva tirato su in sagrestia e poi messo in seminario per farlo prete; ma, morto il parroco, lasciandogli un po' di peculio, l'aveva levato di seminario e preso in casa sua lo zio Celzani, vedovo senza figliuoli, per fargli fare da segretario e da fattore di campagna: ufficio in cui egli metteva una probità e uno zelo veramente esemplari. Andava in chiesa, frequentava dei preti, e di prete gli eran rimaste certe mosse e certi atteggiamenti, come quello di tener spesso una mano nell'altra serrate sul petto, l'avversione ai baffi e alla barba e l'abitudine di vestir tutto di scuro, ma non era bigotto, e si vantava senza mentire d'essere patriotta e liberale.
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Dio Celzani Celzani
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